Nel 2020, anno di piena pandemia e lockdown per il coronavirus, le chiamate al 1522, il numero nazionale antiviolenza e stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%).
La violenza segnalata è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne l’hanno subita in più di una forma, e tra queste emerge la più sottile violenza psicologica (50,5%).
Nel 2021 le segnalazioni sono diminuite ma è stato compiuto più di un femminicidio a settimana dall’inizio dell’anno.
Questi sono i dati ISTAT che hanno evidenziato che nel periodo della pandemia c’è stato un aumento preoccupante dei casi di violenza di genere.
L’emergenza sanitaria ci ha costretti a rimanere in casa per proteggerci dal virus, ma per moltissime donne “casa” non è sempre sinonimo di posto sicuro. Difatti, i casi di violenza domestica hanno avuto un picco elevatissimo, facendo emergere un grave problema.

Oggi siamo qui per dar voce a tutte quelle donne che non ne hanno più.

Siamo qui per denunciare il silenzio assordante delle istituzioni di fronte a dati così preoccupanti.
Siamo qui per dire che non ne possiamo più di leggere narrazioni distorte sui casi di femminicidio: no, non è stato un raptus; non è stato “troppo amore”; non è stata la gelosia; non è stata la donna ad essere “troppo esasperante” o ad aver messo una gonna troppo corta.

Smettiamola di colpevolizzare le donne per le atrocità commesse sui loro corpi. Sono state uccise in quanto donne.
Siamo tutt* complici di questo sistema quando un’intera comunità si scaglia contro una donna che denuncia.
Siamo tutti* complici quando, invece di accogliere e ascoltare una testimonianza di una vittima di violenza, mettiamo in dubbio la sua parola, facendola sentire ancora più sola.
La colpevolizzazione della vittima è violenza ed è parte integrante del problema ed alimenta un sistema di omertà per cui tante donne chiederanno sempre meno aiuto, per paura di dover affrontare ulteriore violenza ed umiliazione oltre a quelle già subite.
 
Siamo stanche di stare qui, dopo quarantatré anni, a difendere la legge 194 sul diritto di aborto, duramente conquistata dalla lotta di moltissime donne.
Ancora oggi, siamo qui a denunciare la gravissima situazione che tante donne sono costrette a vivere per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, ormai diventata un vero e proprio percorso ad ostacoli, tra obiettori di coscienza, malasanità e la terribile propaganda da parte dei movimenti no-choice, sferrando duri attacchi alla loro autodeterminazione.

È di pochi giorni fa la notizia del rinvio della proposta di legge sul “cimitero dei feti”, presentata questa estate da Fratelli d’Italia nella nostra Regione, che obbliga alla sepoltura dei feti anche senza il consenso esplicito da parte dei genitori.
Per i suoi sostenitori , questa legge dovrebbe promuovere “la cultura della vita”. I feti diventano “bambini mai nati” e le donne, ancora una volta, sono costrette a difendere i propri diritti e la propria libertà dalla becera propaganda della destra più radicale e dei gruppi no-choice cattofascisti.

Siamo qui oggi per dire che il silenzio assordante delle istituzioni, lampante quello delle Pari Opportunità ai diversi livelli, per cui tutto ciò rientra nella normalità, è sconcertante.

Siamo stanche di assistere ai teatrini sulla giornata del 25 Novembre: le sfilate e i salottini pieni di discussioni vuote e di proclami fini a se stessi non affrontano in alcun modo il problema.
Le scarpette rosse mettetevele voi; sulle panchine che ogni anno dipingete di rosso sedetevi voi.

Noi continueremo a lottare ogni giorno, dal basso, contro questo sistema patriarcale che ci opprime, sistematicamente, ogni giorno.

Non siamo sole: se toccano una, toccano tutte!

Per tutti questi motivi, sabato 27 novembre saremo in piazza a Roma, dalle ore 14, per partecipare al corteo nazionale organizzato da Non una di meno.

Collettivo Malelingue

Teramo

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