Sette. È curioso come, a volte, i numeri si intreccino in un gioco di arcane simmetrie, trovandosi e ritrovandosi, fino a raccontare una storia.
Che affascina e spaventa.
Quella di oggi, ce la racconta il numero sette. Ed è la storia di un Ponte, anzi: “del” Ponte destinato ad entrare nella storia, perché sarà il più lungo del mondo a campata unica, perché sarà un’opera di straordinaria ingegneria, perché scavalcando lo Stretto unirà fisicamente la Sicilia al “Continente” e perché realizzerà il sogno che tra Scilla e Cariddi gli uomini cullano da millenni.
Ma torniamo al numero sette.
Sette sono gli anni che, secondo le previsioni, ci vorranno per costruire i 3,2 km del Ponte sullo Stretto di Messina.
Sette sono i miliardi che il Governo dovrà trovare, per finanziare quest’opera faraonica.
Sette, infine, sono i gradi di magnitudo dei terremoti che, in quelle terre, la faglia potrebbe scatenare. È già successo, nel 1908, e in mezzo minuto persero la vita metà dei messinesi è un terzo dei reggini. Ottantamila morti.
Quelle che vennero devastate da quel terremoto, sono le stesse terre che dovranno reggere le colonne portanti della struttura sospesa, che saranno alte quattrocento metri… ovvero settanta metri più della Torre Eiffel.
Un po’ mi preoccupa, confesso.
Troppe volte, in questo Paese, la memoria corta dei dolori collettivi ha generato altri dolori. Se avessimo avuto memoria dei terremoti settecenteschi, all’Aquila non avremmo ricostruito sulla faglia.
Di Messina ci ricordiamo.
Ma il Ponte lo faremo lo stesso.
“Sarà una grande sfida, ma dimostrerà la grandezza del genio italico”, leggo tra le dichiarazioni dei soddisfatti politici, e par di sentire un sottile di vaga retorica del Ventennio. “Sarà anche una grande attrazione turistica” dice un altro onorevole, e penso a quanto per me siano turistici i “ferryboat” che vanno lenti da una sponda all’altra, lasciandoti il tempo lieve di sentire l’isola che si avvicina, magari godendoti un arancino a bordo. “Creeremo 150mila posti di lavoro” annuncia felice un ministro, perché lo sa che in Italia se prometti uno stipendio diventa tutto più facile.
L’operazione Ponte è appena iniziata.
ANTONIO D’AMORE