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Il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri e che entrerà in vigore il 1 aprile 2023, ha generato molte preoccupazioni tra gli Architetti dell’Ordine della Prov. di Teramo, unitamente alla totalità degli Ordini provinciali italiani. Nonostante si rilevano l’apprezzabile opera di snellimento delle procedure burocratiche, soprattutto in vista degli imminenti fondi del PNRR, la digitalizzazione quale motore centrale dell’appalto, la previsione di forme di tutela per le imprese esecutrici rispetto al caro prezzi e altre interessanti novità, restano forti perplessità su alcuni dei principali punti del nuovo impianto normativo. Il punto della situazione è stato fatto questa mattina nel corso di una conferenza stampa convocata dall’ordine degli architetti della provincia di Teramo. Emerge – hanno spiegato – innanzitutto la perdita della centralità del progetto nei processi di trasformazione del territorio, attraverso il ricorso diffuso alle procedure di affidamento diretto dei servizi di progettazione, dunque senza bando di gara (limite esteso a 140.000,00 euro), la marginalizzazione dei concorsi di progettazione e la reintroduzione dell’appalto integrato, nel quale è l’imprenditore che realizza l’opera e la progetta. Tutto ciò, oltre a limitare fortemente l’inclusività dei giovani e dei professionisti di talento, il diritto all’equo compenso e la leale concorrenza, rischia di compromettere la qualità dei progetti e delle relative opere e: di conseguenza, la qualità della vita nelle nostre città. Anche la reintroduzione del “generai contractor” va in questa direzione: il contraente generale è il soggetto che non solo realizza l’opera, ma gestisce l’intera organizzazione dell’appalto, la progettazione, le procedure di esproprio, i sub-appalti e via dicendo, dunque sostituendosi interamente alle funzioni proprie della Pubblica Amministrazione. Il rischio concreto è che possa generarsi intorno all’appalto un eccessivo interesse finanziario ed economico con conseguente perdita di imparzialità e indipendenza del processo progettuale e della sua realizzazione. Destano ulteriore preoccupazione l’introduzione del cosiddetto “subappalto a cascata” (cioè la possibilità che il subappaltatore a sua volta subappalti la propria quota di lavori) con previsione di criteri di valutazione discrezionali da parte delle stazioni appaltanti e l’introduzione di particolari garanzie per facilitare la partecipazione di investitori istituzionali (compagnie di assicurazioni, banche di investimento e di affari, fondi comuni di investimento, ecc.) nelle opere di partenariato pubblico-privato. Tutti questi elementi rischiano di monopolizzare l’accesso agli appalti pubblici in favore dei grossi gruppi finanziari e della grande imprenditoria, a scapito delle piccole e medie imprese, che si troveranno sfavorite nella competizione del mercato e alla mercè dei suddetti. Emerge nel complesso un impianto normativo non privo di criticità e, soprattutto, la volontà di mettere da parte il progetto, quasi fosse un mero allegato accessorio. Giova ricordare che un buon progetto e una buona esecuzione di edifici, di spazi pubblici e di infrastrutture, migliorano le condizioni delle nostre città e dei nostri territori e non possono essere posti in secondo piano rispetto alla mera esigenza temporale di approvvigionamento di fondi europei. I due aspetti devono e possono convivere pacificamente, nell’interesse generale delle nostre comunità e delle future generazioni. Auspichiamo pertanto che il Governo avvii un percorso di confronto con gli Ordini Professionali, celere e costruttivo, finalizzato ad apportare le necessarie modifiche al testo normativo che a breve entrerà in vigore.

Nella foto da destra a sinistra: Luana Pomponi, la presidente Ombretta Natali, Paolo Taraschi e Luigi Vagnozzi

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